Massoneria come via di Risveglio
Massoneria come via di Risveglio
Commentaire d’Antonio d’Alonzo
à la parution de l’édition italienne du livre
La Franc-maçonnerie comme voie d’éveil
Molteplici sono i sentieri per arrivare in cima ad una montagna, ma la Vetta è unica.
Molteplici sono le vie iniziatiche che possono condurre al Risveglio, ma tutte le iniziazioni sono iniziazioni al Reale, al Grande Niente: dove con quest’ultimo termine- come nella tradizione del Buddhismo Mahāyāna- si indica un «Niente» che è totalità cosmica, invio ed erranza ontologica del mondo della manifestazione.
In Massoneria come via di Risveglio, Rémi Boyer intende richiamare una verità che- pur lapalissiana nella sua incontrovertibilità- sembra obliterata dal mondo contemporaneo: la Massoneria è un Ordine Iniziatico, una via di Risveglio come declama il titolo dell’opera. La Massoneria è uno dei tanti sentieri tradizionali che possono condurre all’agognata Vetta- e non è un caso che il simbolo della montagna sacra richiami l’isomorfismo dell’axis mundi in grado di collegare la Terra al Cielo, la materia allo spirito-, ma quanti sono oggi i massoni consapevoli di questo truismo? Quanto si parla oggi nei templi massonici di «risveglio» o di «pragmatica iniziatica»? Anche l’immagine della Libera Muratoria che passa quotidianamente nei media- quando non la si usa per paventare complotti o improvvisati comitati d’affari- si riveste di logore suggestione dell’eredità dei Lumi e, soprattutto in Italia, di agiografie risorgimentali. Boyer- e noi con lui- siamo convinti che la Massoneria non possa limitarsi ad essere o rappresentare soltanto questo. Il confronto tra gli epigoni del razionalismo illuministico (oggi maggioranza nel mondo massonico) e gli esponenti del c.d. pensiero della Tradizione, tra una corrente «fredda» erede dei Lumi ed una corrente «calda» esoterica, non è una partita da giocare sul piano meramente numerico, quantistico e materico come direbbe Guénon. La corrente illuministico-razionalistica, seppur predominante nella Massoneria italiana, è esausta, affievolita, non offre più spunti di rilievo in grado di traghettare verso il futuro. Il continuo richiamo al pensiero laico persiste in Italia, a fronte di una crisi culturale e civica che investe una mai compiuta separazione dei poteri tra Stato e Chiesa. Fuori dai nostri confini è ben presente che- come scrive Massimo Introvigne- la Chiesa Cattolica Romana teme soprattutto il pensiero neo-gnostico e il ritorno del sacro sotto forme non propriamente confessionali come la new-age, la next-age, i movimenti del potenziale umano, ecc. Per chiunque abbia occhi per vedere è evidente che il materialismo e il razionalismo relativistico hanno le ore contate e sono destinati a rivestire un’importanza marginale nel nuovo secolo. Il sacer è tornato: anzi, come aveva previsto Malraux, non è mai andato via. Le nuove generazione hanno «fame» di simboli, di ierofanie: il XXI secolo non sarà più sotto il segno della ragione, ma dell’immaginario. La sfida per il nuovo secolo non sarà più il rischiaramento degli ingenui, ma l’intercettazione della nebulosa mistico-esoterica, per usare l’espressione cara a Françoise Champion.
In questa prospettiva, l’opera di Boyer diventa provvidenziale per la nostra era, come lo è stata a suo tempo l’opera di René Guénon per il XX secolo. L’incoerismo di Boyer è provvidenziale perché- diversamente dall’esoterista di Blois- finalmente rivaluta la letteratura, il pensiero e l’arte contemporanea, anche e soprattutto in ambito iniziatico: «Il corpus tradizionale, ermetista nella maggior parte dei casi, ci guadagna ad essere inserito in un insieme letterario ed artistico più ampio. Il ricercatore sagace scoprirà allora che niente di quanto è stato enunciato nei corpus tradizionali è ignorato dalla letteratura e dall’arte. Ogni arcano si ritrova nella poesia, nella pittura, nella scultura ; numerosi infatti sono gli artisti e gli autori che hanno il presentimento dell’essere» (p. 29). Boyer rivaluta quella che fino a ieri si sarebbe definita «cultura profana», pur rimanendo all’interno di un percorso che mira al Vuoto: ma non vi è assolutamente alcuna contraddizione. Per raggiungere il Niente, l’Intervallo, il Vuoto, l’assenza delle forme, si deve prima passare attraverso le forme: «É desolante che le logge siano piene di incolti e di ignari che non siano dei lettori. Tutta la dimensione che può essere integrata dal lavoro operativo delle mani, prolungamento dello spirito, nei Compagni, lo sarà presso gli speculativi della letteratura, per poco che il lettore sia capace di distinguere il fondo della letteratura che pone la stessa domanda della scienza, della filosofia e dell’iniziazione» (p. 29). Il Vuoto libera dalle forme, trascendendole; le forme sono stampelle, racchette valide per la salita, da gettare via una volta saliti in vetta, non prima: «Autosnomos significa, «che dà a se stesso la propria legge». Questo significa uscire dal cerchio delle identificazioni, diluizioni, rappresentazioni e cristallizzazioni mentali, per raggiungere il Centro dove semplicemente «Io sono» o «io sto». Non più «essere vissuto» per vivere» (p.9). Come sostiene lo Zen, ognuno possiede la natura di Buddha ed è già liberato: eppure pochi riescono ad esperire profondamente questa sconvolgente rivelazione. In attesa di raggiungere un simile livello di consapevolezza spirituale, l’uomo del Kali-yuga può permettersi il lusso di rintracciare folgoranti squarci di luce sapienziale nelle opere di Rabelais, Dante e Cervantes. Chiunque può- per brevi attimi, perché il vero banco di prova è soltanto al momento della morte del corpo grossolano, come insegna Il Libro Tibetano dei Morti- illuminarsi: ma l’illuminazione dell’iniziato, dello gnostico è duratura e poggia su solide fondamenta. Ecco perché- come scrive Mircea Eliade- per penetrare l’essenza delle dottrine tradizionali si deve comunque passare dalle forme culturali: l’incoerismo di Boyer è il traghettatore più adatto per l’uomo della nostra era.
Un altro passaggio fondamentale in cui Boyer dimostra la vastità della sua conoscenza- che non si limita alla tradizione occidentale ma include anche e soprattutto la sapienza orientale- è quello in cui l’autore supera qualunque illusione dualistica, necessariamente ancora avvinta a quella che Heidegger definisce come metafisica della presenza: «gli appellativi sono numerosi per designare quella fase in cui l’individuo liberato da tutto ciò che è umano, liberato anche della liberazione (corsivo mio), accede realmente all’immortalità cosciente e diventa un dio, rispetto al suo vecchio stato umano» (Ivi). «Liberato anche della liberazione»: quasi una pietra tombale per chiunque concepisca la via del Risveglio in termini di gradi o di pedigree iniziatici. Secoli prima del celebre passo nietzscheano sul mondo vero che finisce per diventare una favola («Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente?... Ma no! Col mondo vero abbiamo tolto di mezzo anche il mondo apparente!»: F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano, 1970), Nāgārjuna risolve il paradosso dualistico con il tetralemma delle quattro possibilità: «ciò che affermi può essere x», o «essere non x», o «essere x e non x combinati», o ancora «non essere x e non x combinati». Non è possibile asserire alcunché su qualsiasi cosa, tantomeno sulla verità o falsità dell’ente.Nella dottrina buddhista del Prajñā-pāramitā, l’illuminato che ha raggiunto l’altra sponda si rende conto che non esistono le due rive del Nirvāṇa e del Saṁsāra, non esiste né una zattera né un traghettatore che permetta di attraversare il fiume. In ultima analisi, non esiste nemmeno un fiume e nemmeno una dottrina. Per chi riesce a vincere l’ignoranza dualistica che contrappone un Saṁsāra ad un Nirvāṇa, l’illuminazione è già qui, ora e adesso. Boyer conosce il Prajñā-pāramitā: « Non v’è più interno ed esterno, sogno e realtà, profano e sacro. La persona fluttuerà nella scena come un elemento tra altri senza legame con l’essere in sé. Non scompare completamente che con la morte fisica, soltanto il legame viene cancellato. É morire prima di morire. «io» non è più identificato alla persona, semplicemente «io sono» (p. 38).
L’incoerismo di Boyer è al contempo una a-metodologia iniziatica e una filosofia speculativa. È un metodo che si fonda sull’assenza di un metodo, se con questo termine si intende un insieme di regole e prescrizioni tese a circoscrivere l’infinito errare del Reale nelle maglie di procedure arbitrariamente fondate sulla logica dell’alternativa binaria tra un «dentro» ed un «fuori». L'incoerismo riesce ad essere al contempo «dentro» e «fuori», in quanto da un lato raccoglie in una sintesi superiore l’insegnamento di molte scuole iniziatiche occidentali ed orientali, dalla «Via di Mezzo», al tantrismo shivaitico, dal taoismo al sufismo, dalla Qabbalah a Gurdjieff; dall’altro lato, l’Incoerismo s’innesca sul non-stato dell’Essere, nella Vacuità, nell’Intervallo inteso come heideggeriana ék-stasis che trascende il tempo della mera successione cronologica degli istanti, come taoistica quiete e sospensione dell’azione capace di s-velare che «Ciò che costituisce il lungo Reale tra due cose, due elementi, due fenomeni, due vite infinite è l’assenza di legame, l’Intervallo che, ipso facto, impone che ogni cosa, ogni avvenimento, ogni vita, che sono altrettanti ‘momenti’ si confermi unico, perfetta totalità, perfetto Tutto, perfetto Nulla. Niente dell’Essere ed Essere del Niente[1]». L’Incoerismo può essere specularmente definito «immobilità in movimento[2]» e «kōan progettuale», dove l’aggettivo rinvia all’Entwurf heideggeriano, al «progetto» che apre lo spazio autentico del poter-essere e trascende la coercizione del dover-essere, si libera della maschera personificata (persona da phersu, «maschera») e del ruolo gerarchico, sociale, assunto nel tunnel della realtà condivisa e omologata: «Ogni via inizia là dove cessa l’imitazione e la ripetizione, è quindi davvero un abbandono delle forme, ivi comprese dalle forme sacre che sono i riti per penetrare il Reale. Il percorso iniziatico prevede un passaggio obbligato, quello che segna la rinuncia all’initiatio, per imboccare la via dell’inventio, dove ogni gesto, ogni soffio, ogni istante sono nello stesso tempo totalmente nuovi, totalmente compiuti, totalmente unici. L’iniziato compiuto è un essere nudo e libero, spogliato e liberato da tutte le sovrapposizioni culturali e cultuali, da tutti i condizionamenti umani, un essere quindi in silenzio, sgombro dal linguaggio, veicolo privilegiato dei condizionamenti. L’iniziato non ha alcun bisogno di nominare la cosa. Egli è la Cosa stessa. Egli è il gioco stesso dell’energia e della coscienza, il gioco senza «io» (pp. 10-11).
Un’ultima osservazione. Nel pensiero di Boyer si fa incessante il richiamo alla spoliazione dei metalli, urgente l’appello a ritornare all’essenza, al Centro. Questo appello incessante non ha soltanto, come si potrebbe a prima vista credere, una finalità etica, tesa a contrastare la «degenerescenza» degli Ordini iniziatici occidentali, ma ha soprattutto la valenza di una precisa pragmatica iniziatica che trae fondamento dalla mistica renano-fiamminga. Si prenda, ad esempio, questo passo di Boyer: «L’Essere, o Dio, o il Grande Architetto dell’Universo, o l’Assoluto, o il Reale o il Grande Nulla (poco importa la parola se ci si ricorda che la parola si distingue da quello che è designato dalla parola), non ha alcun bisogno. La via è una rivelazione dell’Essere. Non consiste nel ricevere ma nel togliere. Togliere gli strati successivi dei sedimenti della persona. Mettere l’Essere, l’Immutabile, Ciò che rimane, a nudo» (p. 48) e lo si confronti con la celebre proposizione dei Sermoni Tedeschi di Meister Eckhart: «Perciò, prego Dio che mi liberi da Dio, perché il mio essere essenziale è al di sopra di Dio, in quanto noi concepiamo Dio come origine delle creature». Per Meister Eckhart, la vera conoscenza di Dio consiste in un «nulla volere, nulla sapere, nulla avere». L’anima che vuole unirsi a Dio non deve volere nulla, perché la volontà appropriativa ricade nel dualismo Io-Tu, conoscente-conosciuto, amante-amato. È quindi, necessario liberarsi della volontà. L’uomo deve anche liberarsi, per Meister Eckhart, del falso sapere su Dio, riconoscendo la finitezza e la vacuità di ogni fede positiva. Alla stessa stregua, l’iniziato secondo Boyer per raggiungere la verticalità dell’Essere deve rimanere nudo.
È evidente, quindi, perché ho scritto che l’opera di Boyer è provvidenziale, non soltanto per la Massoneria ed il mondo iniziatico, ma anche per il pensiero contemporaneo: essa apre nuovi orizzonti, nuovi hedeggeriani «sentieri interrotti». Il sasso è stato gettato nello stagno: a questo punto spetta alla Massoneria accogliere la vertigine spirituale che Boyer propone.
Antonio D’Alonzo